Il tifoso non cambia, il calcio sì

Blaluca
4 min readSep 26, 2016

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Che si possano cambiare idee politiche e, da professionista del campo o semplice tesserato, anche il partito di appartenenza, è ormai risaputo. Che ci si converta a un’altra religione capita sempre più spesso. Cambiare la squadra di calcio per cui si fa il tifo invece è un vero e proprio tabù, un’opzione che nessuno sembra prendere in considerazione. Eppure il tifoso condivide molto con le figure del militante e del credente, a partire dalla contrapposizione netta all’obiettività, la difficoltà ad avere un pensiero critico e del tutto personale riguardo all’oggetto della fede.

Perché mai si dovrebbe cambiare squadra? Addirittura per alcuni, i tifosi senza se e senza ma, sembra vietato, proprio non si deve (come si legge qui). Eppure in Italia le occasioni non sono mancate, per esempio ai sostenitori di due delle squadre più titolate: “tiferei Milan anche se il presidente fosse …” (inserire al posto dei puntini qualsiasi nome di dittatore, serial killer o personaggio storico negativo) era la battuta più diffusa quando ai tifosi rossoneri, all’epoca, per tradizione, ancora vicini alla sinistra, gli si chiedeva se li imbarazzava avere un presidente come Berlusconi, specialmente dalla prima metà degli anni ’90 in poi, dopo il suo esordio pubblico in politica; “quello scudetto lo avremmo vinto lo stesso” era invece la frase più detta dai tifosi della Juve quando gli si rinfacciava una vittoria con evidenti favori arbitrali o grazie a scandali come doping, calciopoli ecc. Tante altre squadre sono state al centro di scandali (quante, negli ultimi trentacinque anni circa, sono scampate al calcioscommesse?), hanno avuto presidenti imbarazzanti, giocatori-simbolo protagonisti di ripetuti gesti violenti, provocatori o scorretti e via di questo passo. Eppure tutti questi motivi non sono mai sembrati abbastanza rilevanti da far prendere in considerazione al tifoso di cambiare squadra. Magari smettere di tifare accesamente, disinteressarsi sempre di più al calcio, sì (come scrive Christian Raimo qui) ma cambiare squadra da sostenere per lo più non viene proprio preso in considerazione. D’altronde è proprio difficile trovare squadre con rappresentanti che non siano mai entrati in conflitto con le nostre convinzioni, che non abbiano mai manifestato difetti intollerabili o inconciliabili con la nostra condotta e le nostre idee. Varrebbe lo stesso per partiti politici e religioni, ma la questione è che cambiare la squadra per cui si tifa viene giudicato per lo più vergognoso, roba da vili. Potrebbe voler dire rinnegare la propria tradizione familiare, voltare le spalle alla città di appartenenza (sentimento che, in tante parti d’Italia, è molto forte), venire tacciati di incoerenza (che oggi pare quasi un crimine), insomma di infedeltà e tradimento verso tutto e tutti, a partire dagli amici di infanzia o adolescenza. Il più noto caso pubblico di cui si ha conoscenza, inoltre, non aiuta: Emilio Fede è passato da essere juventino a milanista grazie all’amore per il suo ex grande capo. Storia a parte per i casi dei professionisti del calcio: si sconfina in un’altra questione perché, per lavoro, il passaggio da una squadra all’altra, anche se si tratta della rivale principale, viene giudicato più o meno lecito.

Nel 2005 alcuni tifosi del Manchester United contrari alla natura della nuova proprietà americana e agli intenti di questa, piuttosto che scegliere di tifare per una rivale hanno creato una sorta di squadra ombra dello United, dal nome simile, F.C. United of Manchester, e con gli stessi colori sociali, per continuare a tifare senza sentirsi di aver tradito né la propria fede né le proprie convinzioni. È un caso che ha fatto notizia, in qualche modo storia, ma ancora non si capisce dove possa arrivare e, anche se al momento resiste, ci sono opinioni contrastanti (come questa, ottimista, e questa, che pone vari dubbi).

Dalle ricerche su Google, parrebbe che la squadra italiana più abbandonata dai tifosi negli ultimi venti o venticinque anni sia l’Inter (di seguito vari esempi: dal tifoso che ha cambiato campionato al calciatore che da ragazzino era indeciso passando per il polemico che sotto sotto la ama ancora ma è esausto e l’adolescente in crisi… anche con l’ortografia). Ecco, la scelta di cambiare colori da supportare potrebbe essere connessa soprattutto alla storia e all’identità di una squadra: se questa viene stravolta, magari da nuove proprietà, o al contrario, non sembra cambiare mai nonostante ogni anno vengano infuse nuove speranze e fatte grandi promesse, da una parte c’è chi non accetta la “rivoluzione” e dall’altra chi si stanca dei soliti difetti, si disaffeziona e non ci crede più. Ma restano casi rari, perché per la stragrande maggioranza sembra proprio una questione di onore da non mettere neanche in discussione. Potere del calcio, dell’irrazionalità o di valori che nessuno, appunto, osa mettere in discussione? È prematuro chiedersi quanti tifosi resterebbero insensibili a quel calcio di cui si vocifera da tempo, quello del campionato a cui parteciperebbero le migliori squadre europee di ogni nazione, una super lega accessibile, in pratica, solo ai club più ricchi e potenti che, in Europa, da qualche anno, hanno quasi tutti proprietari provenienti da Paesi molto lontani e che, di certo, non sanno cosa significhi tifare? Forse no.

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Written by Blaluca

Autore di “Rapropos”, “Cinema in rima”. Coautore di “Re/search Milano”, “Seismographic Sounds”. Collaboratore di Rumore. Direttore di Hellmuzik.com

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